Abstract:
Il seguente elaborato presenta la vita e la ricerca filosofica di Julian Jaynes (1920-1997), autore pressoché estraneo al panorama filosofico-accademico italiano. L’analisi si svolge in riferimento al testo “Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza”, edito nel 1976. Si discute della definizione negativa e positiva con cui l’autore connota la coscienza, e si commenta e critica lo sviluppo delle sue riflessioni con l’aiuto del pensiero filosofico Classico e Scolastico, oltreché alle teorie sulla filosofia della mente contemporanee. Il tema centrale è l’arbitrarietà con cui comunemente viene definito che cosa si intenda per coscienza. Tale termine risulta tuttora di complessa definizione e l’eterogeneità delle posizioni epistemiche con cui lo si affronta ne dimostra le differenti concettualizzazioni possibili. L’autore infatti utilizza argomentazioni di carattere multidisciplinare attingendo da vari campi del sapere tra cui: neuroscienza; archeologia; filologia di testi antichi - come l’Iliade e l’odissea; linguistica; teorie dell’evoluzionismo; antropologia; medicina; psicologia e psichiatria. L’antropologia filosofica posta qui in evidenza verte sul problematico posizionamento della teoria proposta da Jaynes nel panorama filosofico novecentesco, in riferimento alle teoretiche inerenti alla svolta linguistica e alla trasformazione gnoseologica del fondamento trascendentale caratterizzante l’essere umano. Viene dunque svolta una critica alla teoria inserendola nel problematico spettro ontologico che permea il dialogo tra immanenza e trascendenza.