Abstract:
Molti studiosi si sono occupati di globalizzazione, ma nessuna teoria ha acquisito una posizione di autorità indiscussa. La stessa definizione del concetto di globalizzazione assume caratteristiche molto diverse a seconda delle teorie e del settore scientifico di riferimento. Gli statunitensi Teodore Levitt e Thomas Porter e il giapponese Kenichi Ohmae furono probabilmente i primi ad usare, verso la metà degli anni Ottanta, il termine “globalizzazione” per indicare l’essenza del cambiamento che venivano osservando nelle strategie delle grandi imprese multinazionali. Da un punto di vista prettamente economico la globalizzazione è stata definita, ad esempio, da Rugman nel 2002, come la produzione e la distribuzione di prodotti e servizi di tipo e qualità omogenei su scala mondiale. Un’accezione ben più ampia è stata utilizzata dal sociologo e politologo Antony Giddens , che l’ha definita come l’interconnessione mondiale, ai livelli culturale, politico ed economico, che risulta dall’eliminazione delle barriere alla comunicazione ed al commercio. In un quadro di assoluta eterogeneità c’è chi ne canta le lodi, e ne mette in evidenza gli effetti benefici, come ad esempio Jeffrey Sachs , che la vede anche come un mezzo per alleviare la povertà e offrire ai poveri la possibilità di partecipare all’economia globale, e chi si oppone fermamente ai principi e alle conseguenze della globalizzazione ritenendola la causa di tutti i mali della società come William Greider che nel libro “One World, Ready or Not” sostiene la tesi secondo cui l’offerta globale è superiore alla domanda globale e la globalizzazione provoca seri danni nel mondo del lavoro economico. A metà strada tra queste due posizioni estreme si collocano coloro i quali (e tra questi Stiglitz e Krugman) credono che la globalizzazione sia un fenomeno positivo con conseguenze benefiche sullo sviluppo economico, ma che vada governata per evitare che abbia effetti negativi sulla coesione sociale, sulla democrazia e sull’ambiente. Il presente lavoro, partendo dall’analisi degli ultimi dibattiti intorno al tema, pone l’attenzione sulle implicazioni dei processi di globalizzazione sul sistema dei distretti industriali e delle PMI analizzando sia i fattori critici per le imprese sia le opzioni strategiche che in alcuni casi sembrano preservarne e rafforzarne la capacità competitiva. A tal proposito il lavoro propone l’analisi di un caso aziendale, l’Inditex, come esempio di impresa che ha saputo cogliere, dalla complessità dei mercati, lo stimolo per elaborare una strategia d’impresa in grado di rivitalizzare la propria presenza sul mercato, in un settore, quello della moda, altamente competitivo e dinamico, in cui gli effetti della globalizzazione sono tangibili: mercati tradizionalmente vocati ad un’offerta fortemente correlata agli orientamenti culturali “locali” evolvono verso un’offerta “universale”.