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Questa tesi tratterà il problema della debolezza dei sindacati giapponesi alla luce del declino del tasso di partecipazione sindacale. Dati statistici hanno dimostrato che questo calo è avvenuto, dagli anni Ottanta ad oggi, in tutti i paesi industrializzati: in Giappone, tuttavia, questa riduzione può essere spiegata alla luce dello sviluppo storico del movimento operaio, delle relazioni labor-management e del confronto con il governo.
Nel capitolo uno si analizzerà l'evoluzione storica del movimento operaio giapponese, che si è costituito durante gli anni Venti del Ventesimo secolo sotto l'influenza del pensiero socialista occidentale. La sua espansione, intralciata nel periodo precedente il secondo conflitto mondiale dalle politiche governative, è stata incentivata dall'occupazione americana. Nel nome della democratizzazione del paese, sono state istituite le leggi sul lavoro e sui sindacati, il diritto di organizzazione, di negoziazione collettiva e di sciopero. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta i lavoratori, sentendosi tutelati dalle nuove legislazioni, hanno rivendicato i propri diritti, circoscrivendo il periodo più importante in termini di attivismo sindacale.
Tuttavia vedremo come il governo abbia represso queste nuove forme di ribellione, mitigando il movimento operaio attraverso il sindacato d'impresa, un'organizzazione interna all'azienda che cerca di tutelare tutti i lavoratori senza tener conto della tipologia di impiego.
Nel secondo capitolo verrà chiarito come il sindacalismo d'impresa sia direttamente connesso con il calo di partecipazione sindacale. Le cause maggiori sono, infatti, insite all'interno del sistema del mercato del lavoro giapponese.
Per permettere l'impiego a vita, il mercato del lavoro giapponese è stato strutturato in maniera che il numero di licenziamenti venisse ridotto: ciò ha portato all'allungamento delle ore lavorative ma non al bilanciamento tra ore lavorative e salari.
Le politiche di deregolamentazione degli anni Novanta hanno provocato, inoltre, l'aumento dei lavoratori part-time, che non possono entrare a far parte dei sindacati d'impresa e sono soggetti, dunque, a discriminazioni e pratiche di lavoro scorrette.
L'ipotesi di rinnovamento del movimento sindacale, presentata nel capitolo tre, propone l'incoraggiamento delle community union, organizzazioni esterne ai sindacati, nate durante gli anni Ottanta, che si propongono di tutelare sia i lavoratori regolari sia quelli atipici dalle pratiche industriali scorrette, differenziandosi dal sindacato d'impresa che si è sempre concentrato sulla negoziazione salariale collettiva.
Questa ipotesi sottintende una disillusione nei confronti del sistema attuale: la cooperazione labor-management esposta nel capitolo due, propria del modello giapponese, appare inefficace ai fini di una tutela dei diritti della classe operaia. Ciò in cui si confida è il fatto che le politiche proposte dalla federazione nazionale dei sindacati, uguali da dieci anni, possano essere ascoltate: nel frattempo, la mobilitazione di sindacati esterni alle imprese appare l'unica soluzione efficace. |
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