Abstract:
A distanza di quarant'anni dalla liberazione, Primo Levi affermava di ricordare tutto della propria vicenda concentrazionaria attraverso ciò che aveva scritto: "I miei scritti - disse - svolgono per me la funzione di una memoria artificiale". ciò che davvero resta dell'esperienza nei lager è il testo scritto, e a quello generalmente facciamo riferimento quando parliamo di memoria della deportazione e della Shoah.
A comunicare il ricordo della Shoah furono anche tre donne ebree sopravvissute al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau - Luciana Nissim Momigliano, Liana Millu, Edith Bruck -, il cui racconto presenta importanti specificità che rendono la loro testimonianza molto diversa da quella maschile.
Dopo la scrittura delle prime memorie del lager, un lungo periodo di silenzio rotto soltanto in epoca recente, in quella che Annette Wieviorka ha definito "era del testimone", quando l'obbligo a raccontare diventa nuovamente imperante con l'avanzare dell'età e con il manifestarsi di nuove ondate di antisemitismo e anche di revisionismo. Una testimonianza che non è più solo necessità interiore ma è soprattutto un dovere etico e morale nei confronti di coloro che non sono tornati, e ai quali si era promesso di raccontare quanto accaduto nei campi nazisti, "salvandoli così dall'oblio e rendendo la loro morte meno vana".
Negli ultimi anni la memoria della Shoah è stata al centro di un processo di istituzionalizzazione che rischia di banalizzare il ricodo stesso di quegli eventi. Oggi, sempre più, si sente parlare di abuso, eccesso, saturazione della memoria con grave pericolo per ciò che quella memoria rappresenta, per i suoi contenuti e i suoi significati.