Abstract:
Il Sant’Uffizio a Feltre, tra la fine del Cinque e gli inizi del Seicento, continua a vedere il vescovo come giudice protagonista nelle cause di fede. È un tratto «arcaizzante», per certi versi: i rapporti con la Congregazione romana rivelano come la curia pontificia facesse affidamento proprio sull’ordinario diocesano per la repressione dei crimini contro l’ortodossia mentre nel resto d’Italia, lentamente, gli inquisitori appartenenti agli ordini mendicanti vanno soppiantando le corti vescovili. La diocesi di Feltre rimane un contesto marginale e isolato, dove il vescovo sembra essere l’unico attore istituzionale in grado di assicurare la presenza dell’Inquisizione in un territorio soggetto per due terzi al Sacro Romano Impero, dove la dottrina della dieta di Spira del 1529 impedisce al Sant’Uffizio di celebrare processi: non ci sono altri modi per far sì che il tribunale della fede agisca se non attraverso le prerogative giudiziarie episcopali. Le cause portate innanzi al vescovo Rovellio si richiamano sempre meno alla matrice protestante: l’influsso delle idee della Riforma va lentamente esaurendosi, lasciando spazio a forme di dissenso religioso più sfumate, a uno scetticismo più eclettico, disorganico e desultorio nelle sue affermazioni, come la convinzione che l’anima sia mortale. Affiora, invece, una serie di pratiche, credenze e rappresentazioni legate al «mondo magico» che provengono dalla cultura popolare dei ceti subalterni, generando scontri e attriti con il Sant’Uffizio. Non è solo il contesto rurale e contadino che ricorre a questi saperi: anche le classi colte e il clero dialogano con guaritori e fattucchiere. Per fare fronte a questa complessa partita, l’Inquisizione non ricorre solo alla forza della coercizione. Si piega a compromessi e accordi con le realtà istituzionali e le varie parti sociali. Vero punto di raccordo tra i tribunali e l’attività pastorale delle pievi e delle parrocchie sarà la confessione, con la puntigliosa redazione delle liste dei depascalizzati cioè coloro che, non rispettando l’obbligo di comunicarsi e confessarsi a Pasqua, incorrono nelle sanzioni disciplinari decretate dalla curia o, nei casi più gravi, vengono citati in processi istruiti nel foro dell’«officio episcopale» che funziona come vera e propria sede periferica della Santa Inquisizione.