Abstract:
Questa tesi esplora le implicazioni politiche ed economiche dell'impulso utopico nel Quijote. In particolare, si sostiene che don Quijote insegue due diversi sogni utopici diversi: l'utopia cavalleresca e l'Arcadia pastorale. Entrambe le società ideali hanno alla base la ricerca di una vita virtuosa, ma differiscono molto in quanto esperimenti politici. Ispirato dagli ideali della filosofia politica rinascimentale, in particolare dall'umanesimo civile, don Quijote auspica a entrare attivamente nella vita politica dello stato per attuare una riforma. Nell'utopia cavalleresca, nella quale lui stesso si auto-elegge come membro dell’aristocrazia, scalando così la gerarchia sociale, don Quijote immagina un mondo alternativo in cui la nobiltà risiede nella virtù anziché nel lignaggio o nel denaro. Tuttavia, questo sogno idealista crolla a causa dei suoi continui scontri con le istituzioni moderne, con la nascente economia capitalista e soprattutto con la sua permanenza dai duchi, esempi di aristocrazia senza virtù. La sconfitta del sogno utopico porta l'eroe, ormai disilluso, a concepire un'altra forma di comunità ideale: l'Arcadia, in cui egli si allontana da ogni tipo di attività politica e cerca la virtù nella vita contemplativa. In questo altro mondo alternativo, dove la classe è sconosciuta e il denaro è ripudiato, egli cerca rifugio dalla società e dalla sua corruzione. Questo sogno, tuttavia, ha vita breve poiché il denaro e i rapporti di potere hanno invaso anche il mondo pastorile. Poiché nessuna delle due fantasie gli ha permesso di sfuggire al suo posto nella società e alla sua condizione economica, l'eroe deve rassegnarsi ad accettare all’idea che l’idealismo da solo non può portare al cambiamento e alla riforma in cui sperava.