Abstract:
Il presente lavoro si pone un obiettivo specifico: determinare se, alla luce dell’attuale contesto di diritto internazionale, le società multinazionali possano essere ritenute responsabili per gravi danni ambientali generati dallo svolgimento delle loro attività e commessi sia dalle società controllate o dalle affiliate prevalentemente in paesi in via di sviluppo, in cui vengono delocalizzati i processi produttivi, sia dalla società madre stessa, che nella maggior parte dei casi è costituita secondo il diritto interno di un paese nel cosiddetto “Nord del mondo”. Allo stesso modo, questa tesi tenta di analizzare le possibili alternative di natura non vincolante e volontaria sviluppate sia a livello intergovernativo che regionale e aziendale, al fine di supervisionare le attività delle multinazionali e garantirne una condotta ecologicamente rispettosa.
Benché la comunità internazionale sia impegnata nella definizione di un quadro vincolante, numerosi impedimenti legati alla struttura delle multinazionali e alla loro controversa natura giuridica nel diritto internazionale hanno precluso lo sviluppo di una regolazione omogenea e direttamente applicabile all’impresa che ha perpetrato la condotta ambientale illecita. A tal proposito, iniziative volontarie e di soft law elaborate a livello inter-governativo, regionale e della comunità degli affari come codici di condotta e la dottrina della responsabilità sociale d’impresa si pongono come la principale alternativa per garantire l’ integrazione delle considerazioni ambientali all’interno dei processi decisionali delle aziende multinazionali a fronte della difficoltà di adottare strumenti di hard law omogeneamente condivisi. Tuttavia, sebbene tali iniziative rappresentino la base fondamentale su cui si fondano possibili successivi sviluppi normativi in materia e un punto di partenza verso una futura cristallizzazione del diritto, il potenziale governativo dei codici di condotta potrebbe risultare fortemente limitato. Parallelamente, il presente lavoro si è posto l’obiettivo di esplorare la crescente tendenza all’interno della comunità degli affari a convertire standard di responsabilità sociale ed ambientale in obbligazioni legali attraverso la loro incorporazione all’interno di clausole contrattuali. Ad ogni modo, nonostante la contrattualizzazione degli standard di protezione ambientale costituisca uno stratagemma rilevante per l’elevazione di tali codici da strumenti di soft law ad obbligazioni legali, tale pratica presenta ancora numerose limitazioni; inoltre, la presenza di obbligazioni contrattuali non è da ritenere efficientemente sostitutiva di un più ampio regolamento proveniente da entità Statali. È finalmente necessario sottolineare che le numerose iniziative volontarie di responsabilità sociale d’impresa sono state soggette ad ampie critiche riguardanti la loro efficacia a seguito della mancanza di sistemi indipendenti di verifica della conformità ai codici di condotta. Nonostante ciò, è possibile rimarcare la presenza di esempi virtuosi di iniziative volontarie che costituiscono una praticabile alternativa ad una costosa e prolungata azione giudiziaria, la cui effettività risulterebbe ulteriormente limitata dalla difficoltà di ricondurre la responsabilità alla società madre.