Abstract:
Il presente scritto ha l’obiettivo di esaminare gli effetti delle politiche monetarie non convenzionali adottate dalla Federal Reserve a partire dalla crisi dei subprime sino ad arrivare alla recente risposta alla pandemia di COVID-19. L’attenzione è rivolta, in particolare, ad analizzare le ragioni per le quali il cosiddetto ‘quantitative easing’, ovvero l’imponente programma di acquisto di titoli di Stato effettuato dalla banca centrale americana e la conseguente enorme immissione di liquidità nel sistema, non abbia prodotto spinte inflazionistiche nell’economia reale come molti operatori si attendevano, mentre abbia avuto importanti riflessi sui prezzi dei titoli finanziari, sia azionari che obbligazionari.
Si mostra come questo esito non debba essere motivo di sorpresa e che la convinzione opposta deriva dall’affidamento a una teoria, quella del moltiplicatore monetario, che non è in grado di cogliere il reale meccanismo di creazione della moneta nell’economia moderna. La base monetaria introdotta nel circuito finanziario dalle banche centrali, infatti, non viene moltiplicata dalle banche commerciali attraverso la concessione di nuovi prestiti, ma è utilizzata da quest’ultime in investimenti di natura finanziaria.
Un’ampia parte dell’elaborato sarà dedicata a fornire evidenza empirica di questa idea attraverso l’applicazione di un’analisi econometrica con un modello VECM.