Abstract:
Questa ricerca multisituata in Messico e in Italia muove da tensioni riguardanti il confronto con la propria “identità” meticcia emerso dalla storia di vita dell’artista messicana Dora (pseudonimo), emigrata in Italia negli anni ’90 del XX sec. L’opera Raices, un “Vestito-diario” che fonde scrittura e disegno rappresenta, oltre a una storia di vita, l’occasione per esplorare il rapporto tra arte e antropologia. Interviste in profondità e colloqui informali realizzati durante il campo svolto in Italia (Venezia in particolare) e in Messico (Città del Messico e Puebla) hanno messo in evidenza inquietudini, più o meno esplicite, relative al modo cui l’“identità” meticcia viene vissuta. Nei colloqui con i miei interlocutori alcuni elementi sono parsi ricorrenti e, spesso, in tensione fra loro: l’eredità coloniale spagnola, momenti e personaggi simbolo della storia nazionale (Cuauhtémoc, padre Hidalgo, Benito Juárez, Porfirio Diaz, la rivoluzione messicana), il confronto con la cultura europea, il rapporto con la componente indigena, il ruolo della religione cattolica, il recupero dell’arte e della cultura preispanica. In un’altra parte dalla ricerca etnografica ho dedicato la mia attenzione, al di là del piano individuale, all’osservazione di luoghi, edifici, e più in generale di materiali e manifestazioni in cui, visivamente, quegli stessi elementi sono stati depositati o veicolati contribuendo a costituire fibre di un corredo comune che viene diversamente interpretato nelle storie individuali. Ne sono esempi musei d’arte e di cultura preispanica, edifici pubblici le cui pareti illustrano la versione della storia messicana trasmessa dai muralisti messicani nel periodo post-rivoluzionario, allestimenti di feste tradizionali come il Dia de muertos, le celebrazioni e le specifiche attività scolastiche organizzate nel mese della patria, murales autoprodotti da artisti nel quartiere di Tepito di Città del Messico. Percorrendo a ritroso la genesi di queste narrazioni visive (in particolare, ma non solo, quelle degli edifici, dei monumenti pubblici o di fermate della metropolitana della capitale) mi sembra si possano intravedere tracce di un modello di identità nazionale basato su un preciso ideale di meticciato, essenzializzato, la cui origine teorica e messa in opera in termini di politiche educative e culturali risale agli anni ’20 del XX sec. e prende corpo nel periodo postrivoluzionario. Nei racconti e nelle esperienze dei miei interlocutori mi sembra possibile leggere altrettante reazioni, prese di posizione o rielaborazioni - spesso non conciliate al proprio interno - a questo ideale di meticciato.