Abstract:
Il presente studio si propone di analizzare in che misura il processo di State building – ovvero, quando l’autorità statale utilizza il potere di cui è depositaria per eliminare le resistenze interne e convogliare verso un sedicente “centro” le risorse disponibili – abbia saputo modificare il paesaggio dell’isola maggiore di Okinawa a vantaggio della classe dirigente, ponendo in evidenza il nesso tra cambi di policy e variazioni nell’ambiente circostante.
In linea di principio, la nostra tesi è che, in presenza di una forte spinta ideologica o nel nome di un economismo totalizzante, sussista la possibilità che suddetto “centro” decida di dichiarare guerra a quegli spazi interstiziali entro cui si esercitano la libertà e socialità dei cittadini, arrivando a eliminare con la forza ciò che non collima con le sue astrazioni pur di sostanziarle, e che ciò si verifichi con maggiore violenza in mancanza di una sovranità stabile e consensuale.
Adattando le considerazioni della critica post-Strutturalista (James C. Scott, Michel Foucault, David Harvey, Henri Lefebvre ed Edward W. Soja) al nostro oggetto di studio, si può notare come riforme introdotte in campi anche molto distanti tra loro (fisco, anagrafe, catasto) e da padroni differenti (Giappone imperiale, Amministrazione americana, Giappone postbellico) condividano il medesimo obiettivo di rendere leggibile – amministrativamente parlando – il paesaggio dell’isola agli occhi dello Stato centrale, in modo da meglio sfruttarne le ricchezze e disperdere gli elementi di disturbo, primo fra tutti lo sviluppo di un’autentica identità okinawana.
Gli ambiti in cui tale transizione è stata e continua a essere più evidente, e che pertanto vanno a costituire le quattro macroaree di analisi, sono i seguenti:
• Abitazioni e industria edilizia;
• Regimi di proprietà e d’impresa;
• Estrazione e redistribuzione delle risorse;
• Servizi ai cittadini e burocrazia;
Benché detti strumenti epistemologici non siano mai stati applicati allo studio della realtà okinawana prima d’ora, riteniamo che essa rappresenti un case study particolarmente ricco di interesse, in quanto:
1. Riunisce in sé le storture del capitale sia del XX (organized/entrepreneurial capitalism) che del XXI (disorganized/speculative capitalism) secolo, manifestandole in una scala più facilmente osservabile da parte del ricercatore;
2. Costituisce un’unità insulare di discreta estensione territoriale, a sua volta inglobata in un più vasto Stato-nazione insulare di cui riproduce debolezze e contraddizioni;
3. È stata a lungo apolide e utilizzata quale merce di scambio in schermaglie geopolitiche, vedendosi negato il proprio diritto all’autodeterminazione;
4. Presenta un contesto idrogeologico, faunistico e ambientale di rara bellezza e fragilità, sul quale gli effetti collaterali delle politiche di accentramento – soprattutto per quanto concerne l’edilizia e le opere pubbliche – sono particolarmente evidenti;
5. È vittima di dinamiche socioeconomiche sperequate di matrice post-coloniale da cui gran parte dell’Asia Orientale si è ormai emancipata, la cui persistenza è da imputarsi alla dipendenza indotta dal mainald giapponese (hondo).
Scopo ultimo dello studio, al di là di risalire alle ragioni – talvolta eminentemente politiche, talvolta afferenti a un sostrato antropologico più difficile da disaminare – alla base delle decisioni prese dal governo di turno, è quello di individuare possibili strategie di crescita per il futuro, in grado di garantire autonomia e sviluppo sostenibile a una realtà che, con l’avanzare della globalizzazione, rischia sempre più di essere travolta dal corso degli eventi, nonché di veder fagocitate quelle particolarità paesaggistiche che costituiscono il suo vero tesoro.