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Il linguaggio sembra essere una capacità tipica e geneticamente determinata dell’essere umano. La sua acquisizione avviene, generalmente, in pochissimi anni e in assenza di uno sforzo consapevole, grazie all’esposizione – durante i primi anni di vita (periodo critico) – ad un input linguistico qualitativamente e quantitativamente ricco (Jackendoff 1998). I bambini, in particolare, nascono con la capacità di discriminare una grande varietà di contrasti di suoni, ma – attraverso l’influenza dell’ambiente linguistico in cui sono immersi – questa loro abilità si specializza sui suoni che hanno un valore distintivo nella loro lingua nativa, perdendo quelli che invece non ce l’hanno (Guasti 2007). È importante evidenziare come il bambino normoudente non produca le tipiche espressioni del linguaggio adulto sin da subito, ma attraversi delle fasi di “training”: babbling, periodo olofrastico e combinazione di più parole (Chesi 2006).
Grazie a studi neurolinguistici si è dimostrato, inoltre, come il linguaggio sia un modulo computazionale localizzato in specifiche aree della corteccia cerebrale – come dimostrano le ricerche su casi di sviluppo cognitivo anomalo –, indipendente dalle altre facoltà mentali ed ulteriormente suddiviso in sottounità specializzate – come evidenziano gli studi sulle afasie – (Chesi 2006).
Ma se durante i primi anni di vita il bambino non riceve stimoli linguistici quantitativamente e qualitativamente sufficienti, quali potrebbero essere le conseguenze? Per rispondere a tale quesito, si cercherà di confrontare l’acquisizione linguistica tipica con quella atipica, che si verifica in caso di sordità.
I soggetti sordi sono – in Italia – circa l’1%₀ della popolazione e – per via dei numerosi fattori che coesistono, come: grado di perdita uditiva; sede della lesione; epoca di insorgenza della sordità; età della diagnosi e della protesizzazione; tipologia di protesi; background linguistico; metodo riabilitativo – non formano una categoria omogenea.
Nel caso della sordità, la funzionalità del canale uditivo viene compromessa, provocando una riduzione della percezione dell’input linguistico vocale, che può ritardare o addirittura impedire lo sviluppo della competenza linguistica del bambino, portandolo alla produzione di espressioni linguistiche non standard (Chesi 2006).
Nei primi anni di vita, al contrario, l’utilizzo di una Lingua dei Segni permette al bambino sordo di essere esposto ad un input linguistico accessibile, che gli permetterà di acquisirla naturalmente, seguendo gli stessi stadi evidenziati per la lingua vocale in bambini normoudenti (Trovato 2013).
Lo studio delle competenze linguistiche in italiano delle persone sorde e delle loro produzioni non standard fornisce informazioni utili per lo sviluppo di metodi d’intervento, che permettano loro di acquisire la lingua vocale nel modo più naturale possibile (Chesi 2006).
Sono state, in particolare, evidenziate delle caratteristiche comuni nella competenza linguistica tra soggetti sordi: vocabolario ridotto, sia in produzione sia in comprensione; produzione di frasi più corte rispetto agli udenti; difficoltà nella comprensione di strutture complesse e tendenza ad evitarne la produzione; omissioni e sostituzioni di articoli e preposizioni; incertezze nell’accordo; omissione di copule; omissione o sostituzione di ausiliari e modali; difficoltà con la flessione verbale.
Alcuni studi (Friedmann, Szterman 2006; 2011; Volpato 2012; Volpato, Vernice 2014; Ruigendijk, Friedmann 2017) hanno evidenziato come le problematiche dei sordi con le strutture complesse possano essere dovute a difficoltà con il momento sintattico. Per favorire lo sviluppo delle competenze linguistiche in caso di sviluppo atipico, sono stati proposti trattamenti basati sull’insegnamento esplicito del movimento sintattico (Roth 1984; Thompson et al. 1995; 1996; Levy, Friedmann 2009; D’Ortenzio 2015). |
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