Abstract:
L’elaborato si propone di studiare il grado di diversità di genere raggiunto nei consigli di amministrazione delle società quotate, prendendo in considerazione i settori di punta del Made in Italy: Agro-alimentare, Automazione e Moda e lusso. A questi viene aggiunto il settore bancario.
L’analisi parte dalla presa di coscienza di come la normativa abbia incoraggiato una maggior diversità di genere ai vertici negli anni, analizzando in modo critico la ratio dei provvedimenti normativi, i fattori e gli attori abilitanti, i risultati raggiunti. Al caso italiano vengono affiancati casi di studio internazionali, anche questi analizzati in modo critico nella ratio e contesto abilitante, al fine di disegnare un primo quadro che restituisca la complessità dello strumento delle quote di genere e dei risultati auspicabili.
Successivamente viene compiuto uno studio della letteratura sulla diversità di genere al fine di identificare le variabili chiave che vengono positivamente (o negativamente) influenzate dalla diversità o, viceversa, che influenzano la gender diversity.
Sulla base della letteratura esistente si costruisce la ricerca: il campione delineato è composto da quaranta aziende quotate in Borsa Italiana, appartenenti ai settori di punta del Made in Italy (Agro-alimentare, Automazione e Moda e lusso), ai quali si aggiunge il settore bancario. Di questi viene studiata la composizione del Consiglio di Amministrazione, il grado di gender diversity e altre variabili quali l’età, il livello di istruzione, l’attività di interlocking e i legami familiari. Si analizza l’andamento della performance finanziaria dell’ultimo decennio per ciascuna azienda del campione, rapportandola ai cambiamenti della composizione del CDA nei vari mandati, per effettuare alcune ipotesi di base. In seguito, si analizza la performance relativamente alla CSR e le strategie di comunicazione adottate, al fine di identificare delle differenze di gestione fra aziende (e settori) in ordine al grado di gender diversity acquisito, partendo dall’ipotesi che la comunicazione sia un aspetto strategico a cui rivolgere attenzione se si ritiene opportuno aumentare il proprio grado di gender diversity.