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L’articolo 2112 cod. civ. stabilisce le regole per la tutela dei diritti dei dipendenti coinvolti nei casi di trasferimento d’azienda, sancendo la totale insensibilità dei rapporti di lavoro ai mutamenti della titolarità della stessa.
Tale normativa è stata oggetto di numerosi interventi legislativi che sono il risultato di un processo di adeguamento dell’ordinamento nazionale alle direttive europee e alle pronunce della Corte di Giustizia. Tali influenze non hanno sicuramente giovato a una lineare e agevole interpretazione della materia, non tanto sotto il profilo della disciplina, che nonostante i numerosi interventi, risulta chiara e di facile applicazione, bensì sul piano dell’individuazione della fattispecie di “trasferimento d’azienda” e soprattutto di parte di essa. Nel Capitolo I verranno determinate le nozioni di trasferimento d'azienda e di ramo d'azienda sia a livello di ordinamento nazionale, sia a livello di ordinamento europeo. Verranno, inoltre, individuati i confini della categoria degli atti legittimanti il trasferimento. Si tratta di un passaggio fondamentale, perché, perimetrare correttamente l’ambito applicativo permette di sottrarre l’istituto del trasferimento da un suo utilizzo improprio e fraudolento.
Individuati i confini applicativi della disciplina, nel Capitolo II verranno analizzate le scelte legislative volte a disciplinare le possibili ripercussioni che le modificazioni soggettive del rapporto di lavoro (relative alla figura del datore di lavoro-imprenditore) possono avere sulla posizione del lavoratore ceduto. La centralità del profilo della tutela del lavoratore trasferito emerge dai numerosi interventi legislativi che, negli anni, sono andati ad inserirsi nella disposizione originaria dettata dall’art. 2112 cod. civ. e, dunque, sotto la rubrica intitolata “mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda”.
Con la c.d. “Riforma Biagi” e, in particolare, con l’art. 29 D.lgs. 276/2003 il legislatore italiano ha riconosciuto a livello normativo la possibile sovrapposizione tra il contratto di trasferimento d’azienda e quello d’appalto, con una conseguente estensione delle tutele previste dall’art. 2112 cod. civ. anche a quest'ultimo. Per molto tempo le due fattispecie hanno trovato discipline autonome e ben distinte nell’ordinamento italiano. Tuttavia, con il sorgere di nuove forme di esternalizzazione, volte sempre di più alla frammentazione verticale dell'impresa attraverso l'esternalizzazione di attività accessorie al core business (attuate, sempre più spesso, attraverso il trasferimento d'azienda e il contratto d'appalto), si è reso necessario disciplinare la possibile sovrapposizione tra le due fattispecie. Il problema sorge nei c.d. cambi d'appalto, cioè nelle ipotesi in cui, nell'esecuzione di un medesimo contratto di appalto, si susseguono più imprenditori-appaltatori. In tal caso, occorre verificare quando il fenomeno successorio consente l’applicazione della disciplina del trasferimento d’azienda di cui all’art. 2112 cod. civ..
Nel Capitolo III verranno analizzate le tutele riservate ai lavoratori coinvolti in vicende circolatorie aventi ad oggetto imprese in oggettivo stato di crisi. L'ordinamento nazionale consente, in tali ipotesi, possibili deroghe all'art. 2112 cod. civ., norma che per le imprese in bonis risulta, invece, inderogabile. La ratio risiede nell’esigenza di bilanciare l’interesse individuale dei lavoratori con l’interesse collettivo al mantenimento del valore e dell’operatività dell’impresa per agevolarne la circolazione (così da garantire il massimo livello occupazionale). Verranno poi analizzate le possibili novità introdotte dall'entrata in vigore del nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza. |
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