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Gli obiettivi di sviluppo sostenibile o Agenda 2030 del 2016 guidano i Paesi per mobilitarsi per porre fine a tutte le forme di povertà, combattere le disuguaglianze e affrontare i cambiamenti climatici, garantendo che ci sia inclusività specialmente a livello sociale e culturale.
L’obiettivo di questo studio è quello di provare a determinare in che modo sia possibile sviluppare produzioni e consumo di cultura sostenibili, ossia che puntano a fare di più e meglio con meno, aumentando i benefici delle comunità, sovvertendo in questo modo un sistema di subordinazione tra le diverse espressioni culturali, specialmente quelle legate a territori poco o quasi per niente globalizzati. A questo proposito, la domanda della ricerca è stata la seguente: in che modo è possibile creare un mercato dell’arte meno competitivo ed elitario, dominato dagli artisti cosiddetti Blu Chips o dai grandi Innovatori, i quali influenzano i trend della fruizione culturale presso il pubblico, rendendolo ormai assopito? In questo contesto, il pubblico, il quale deve essere coinvolto in iniziative di sensibilizzazione al consumo e a stili di vita sostenibili, è, in realtà, coinvolto in dinamiche viziose: lo spettatore è posto al centro di una mappa costruita e definita dai poteri forti, costretto a costruire narrazioni lineari di ciò che vede, rimanendo all’oscuro delle relazioni nascoste nell’ambiente dove sono stanziati.
Se le mappe della produzione culturale attuale servono a stabilire dei percorsi e assicurare la posizione dell’osservatore, risparmiando in questo modo sul rischio della rappresentatività delle differenti espressioni culturali e, puntando sull’aumento dell’inquinamento attraverso una produzione diversificata ma senza obiettivi, esse sono anche abitate dagli spettri di quei rapporti e vite che rimangono trasparenti allo sguardo di chi gode un evento culturale. Le mappe della produzione culturale contemporanea non riescono a catturare il mondo appieno, il loro atto di rappresentazione è accompagnato dalla repressione e dalla rimozione di ciò che sfugge e contrasta la volontà del sempre nuovo. Tutto questo aumenta una gerarchizzazione del mondo nella perpetua tradizione delle distanze fisiche in distanze storiche.
Garantire modelli culturali sostenibili di produzione e di consumo richiede il far emergere un altro spazio critico, e con ciò altre storie del passato rimosso che arrivano dal futuro. Su questa base, la necessità di riprendere archivi nascosti e rimossi attraverso il lavoro di Aby Warburg e Raymond Murray Schafer, i cui studi, sebbene distanti nel tempo, sono accomunati dal voler far riemergere immagini e suoni dell’ambiente, passati e presenti, con l’obiettivo di immaginare come saranno trasformati nel futuro, in una logica di riciclo e riuso che mette al centro ciò che è periferico, per dargli nuova e nitida centralità.
Le forme differenti di sostenibilità e rappresentatività all’interno del mondo dell’arte servono al fruitore per capire la storia passata ma anche la cronaca dei fatti europei e di oltre oceano attuali: lo scontro fra Nord e Sud, tra centro e periferia, tra grandi e piccoli. Nel mondo della produzione culturale la vera inversione sta in chi pensa alla contemporaneità alla luce dello scarto: è la necessità di guardare chi guarda. Per queste ragioni, tale ricerca si soffermerà sui alcuni movimenti artistici e manifestazioni musicali degli anni Sessanta, nei paesi occidentali, i quali sono caratterizzati da un nuovo e diretto rapporto tra arte e vita, a un coinvolgimento concreto della realtà oggettuale quotidiana. |
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