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Questo elaborato si propone di esaminare come caso di studio il videogioco Final Fantasy VII Remake (Square Enix 2020). In particolare, si analizzeranno le strategie di traduzione adottate nell’edizione italiana mettendo i testi diegetici a confronto con la versione giapponese.
La traduzione applicata al videogioco sta occupando una posizione sempre più importante all’interno dell’industria. Con il progressivo aumentare della complessità dei videogiochi, la componente testuale ha ormai assunto un ruolo indispensabile per permettere ad un giocatore di immergersi appieno nell’esperienza videoludica (Bernal-Merino 2015, 1-2). Tuttavia, la ricerca accademica sui videogiochi dalla prospettiva dei Translation Studies è ancora relativamente limitata, come hanno fatto notare Bernal-Merino (2015, 4) e O’Hagan e Mangiron (2013, 24). Relativamente pochi sono, inoltre, i casi di studio sulle strategie di traduzione applicate al videogioco, come osservato per esempio da Annelies Van Oers (Van Oers 2015, 129). In particolare, Van Oers, catalogando in tredici strategie le modalità di traduzione impiegate nel videogioco Beyond Good and Evil (Ubisoft 2003), è arrivata all’inaspettata conclusione che la traduzione letterale è risultata la strategia più frequente, con oltre il 65% del testo diegetico totale. Il risultato, in apparente contraddizione con la maggiore creatività linguistica richiesta dai videogiochi, secondo Van Oers può essere dovuto al fatto che spesso la traduzione letterale è la scelta più rapida e sicura in un ambiente di lavoro con scadenze ravvicinate (Van Oers 2015, 146-148). Inoltre, spesso queste traduzioni vengono effettuate senza un contesto di riferimento, specie nel modello outsourcing (O’Hagan e Mangiron 2013, 118-119).
La scelta di prendere Final Fantasy VII Remake come caso di studio ha seguito tre criteri. Innanzitutto, Final Fantasy è una serie RPG, la tipologia più indicata su cui effettuare questo tipo di analisi, in quanto genere ricco di testo diegetico (Van Oers 2015, 129). In secondo luogo, trattandosi di una serie longeva, essa presenta un fandom vasto e affezionato e, di conseguenza, più sensibile alla questione del rendimento linguistico del videogioco (O’Hagan e Mangiron 2013, 194-195). Inoltre, l’azienda produttrice, Square Enix, ha adottato ormai da tempo un approccio aperto alla localizzazione di quei videogiochi che decide di esportare, con l’obiettivo di creare versioni che eliminino gli aspetti giudicati “troppo stranieri” o inaccettabili dalla cultura del Paese di esportazione (Consalvo 2006, 128-130); pertanto, essa presta estrema attenzione alla traduzione (e alla traducibilità) dei suoi prodotti. Infatti, l’azienda utilizza il modello in-house, con cui permette ai traduttori di sperimentare direttamente il videogioco, incentivandoli a adottare un approccio più libero e creativo (O’Hagan e Mangiron 2013, 180-184). Nell’elaborato, i testi diegetici della versione italiana verranno esaminati in base alle strategie di traduzione effettuate rispetto alla versione giapponese. L’obiettivo è chiarire se e come l’approccio alla traduzione cambi quando un’azienda non si affida al modello outsourcing. Infine, come afferma Gianna Tarquini nel suo studio sulla traduzione dei videogiochi come “constrained translation”, gli esempi pratici sono necessari per evidenziare le possibilità e i limiti degli attuali sistemi di gestione della traduzione (Tarquini 2015, 170). |
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