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In origine con il termine “Olimpiadi” veniva indicato un antico evento Panellenico a cadenza quadriennale caratterizzato da sfide sportive, musicali e letterarie, durante le quali i concetti di eroismo, competizione pura e onore venivano esaltati. Sebbene i moderni Giochi Olimpici siano unicamente di natura sportiva, tali concetti sono tutt’oggi alla base della competizione, così come il prestigio e l’onore conseguenti alla nomina. Tuttavia con l’età moderna si è aggiunto un ulteriore aspetto, dai molti spesso ignorato, sottovalutato o erroneamente misurato, che spinge i paesi di tutto il mondo alla candidatura; l’aspetto economico. Le città ospitanti investono ingenti somme in preparazione ai giochi. Tuttavia, nonostante le onerose somme necessarie, il profitto potenziale derivante da settori quali, solo per citarne alcuni, turismo e marketing, è ragione sufficiente a spingere le Nazioni a compiere importanti investimenti al fine di stimolare l’economia, sia nazionale che locale.
D’altro canto nel lungo periodo, ossia una volta terminato il boom di turismo che caratterizza solitamente i sei mesi precedenti alle Olimpiadi, i 14 giorni di Giochi e i sei mesi successivi alla loro chiusura, diverse nazioni ospitanti si sono ritrovate faccia a faccia con un disavanzo netto sugli investimenti.
A tal proposito numerosi studiosi si sono cimentati nel corso dei decenni nella creazione di modelli atti a stimare i benefici “ex ante”, che consentano quindi di avere in anticipo un quadro chiaro sui reali rendimenti economici relativi agli anni successivi all’evento. La difficoltà sta nel realizzare un modello inclusivo di alcuni elementi “intangibili” difficili da valutare: le Olimpiadi Invernali di Sochi, ad esempio, costarono 50 miliardi di dollari, 32 miliardi in più rispetto al budget che la Russia si era prefissata a seguito della nomina nel 2007. Di conseguenza l’impatto provocato dall’omissione, volontaria o involontaria che sia, di tali aspetti intangibili in fase di calcolo del corretto budget da stanziare può avere gravose ripercussioni economiche nonché, conseguentemente, sociali.
A farne esempio sono i Giochi Olimpici di Tōkyō: la cerimonia d'apertura, prevista per il 24 Luglio di quest’anno, è stata posticipata al 2021 in seguito alla pandemia provocata dal virus SARS-COVID-19. Secondo le prime stime, il Giappone aveva investito tra i 32 e i 40 miliardi di dollari per la sola costruzione di strutture adeguate a sostenere le competizioni e per l’espansione della capacità massima degli hotel già esistenti, così da adeguarli all’inevitabile incremento turistico. Si stima inoltre che i Giochi di Tōkyō dovessero attrarre circa 10,000 atleti e 500,000 visitatori da tutto il mondo. Tali numeri facevano auspicare a concrete possibilità di profitto per le piccole e medi imprese locali, le quali ora rischiano il fallimento a causa di una pandemia che ha costretto turisti e residenti locali nelle proprie case. Prima del rinvio ufficiale, Goldman Sachs aveva stimato una perdita di 4.5 miliardi di dollari (550 miliardi di yen) in consumo domestico e inbound nel 2020 nel caso le Olimpiadi non si fossero tenute come da programma. Tale rinvio potrebbe quindi risultare economicamente gravoso anche per la terza potenza economica mondiale, se si prende in considerazione la portata del capitale investito da enti privati, dalla città di Tōkyō e dal governo Giapponese. Lo scopo di questa ricerca è dunque, partendo da un’ampia analisi dell’economia dello sport in generale, definire le prospettive economiche che in primo luogo hanno spinto il paese a candidarsi come ospite dei Giochi, tentando di misurare l’entità dell’impatto sull’economia e sulla società giapponese precedente e conseguente al rinvio di quest’ultimi. |
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