Abstract:
Alla fine del secolo scorso si sviluppa la Finanza Comportamentale, un ramo della finanza che unisce le teorie finanziare e la psicologia cognitiva per capire come il comportamento dei soggetti economici influisca sulle scelte economiche e finanziarie, dando un’interpretazione più realistica del funzionamento dei mercati dei capitali. La Finanza Comportamentale è stata inizialmente impiegata per spiegare le anomalie dei mercati finanziari e successivamente applicata a moltissime branche dell’economia e della finanza, in particolare, alle scelte di investimento in condizioni di incertezza. Nell’ambiente comportamentale si fa riferimento anche al Mental Accounting, teoria inizialmente introdotta dagli psicologi Kahneman e Tversky e successivamente elaborata dall’economista R. Thaler, premio Nobel per l’economia 2017, secondo la quale le scelte di investimento finanziarie sono basate su un sistema di contabilità mentale. Secondo il Mental Accounting, la ricchezza viene suddivisa dagli individui in vari compartimenti mentali, quest’ultimi sono separati tra loro e si distinguono in base alla provenienza del proprio reddito e alle spese a cui è destinato, e hanno delle conseguenze sulle scelte di investimento. La divisione della ricchezza in conti mentali isolati è tuttavia in contrasto con il principio di fungibilità della moneta, ovvero la sua interscambiabilità, e quindi con la perfetta razionalità prevista dalla teoria classica. La teoria del Mental Accounting viene applicata anche alla selezione di portafoglio: gli individui comportamentali considerano il proprio portafoglio di investimento come l’insieme di più sub-portafogli, ciascuno corrispondente ad uno specifico conto mentale. In questo elaborato verrà presentata un’analisi e confronto tra l’approccio del Mental Accounting e la teoria classica applicati ai portafogli di investimento.