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Il progetto di tesi mira ad indagare i cambiamenti avvenuti nella pratica della conservazione e del restauro delle opere di arte contemporanea, con particolare attenzione alle manifestazioni artistiche della nostra epoca, effimere e precarie per definizione: le installazioni. La produzione artistica contemporanea ha inaugurato una tendenza sconosciuta all’arte precedente: l’adozione di materiali extra-artistici, prelevati dalla quotidianità ed elevati al rango dell’artisticità. Questa una delle cause della scarsa durabilità e dell’estrema precarietà dei manufatti, insieme con la volontà sempre più crescente degli artisti di rappresentare un processo: la trasformazione, il cambiamento e, a volte, l’auto-distruzione e la morte, anche per sfidare e opporsi alle leggi del mercato dell’arte e alla mercificazione e feticizzazione dell’oggetto-arte.
Il capitolo 1 comprende una breve premessa sulla comparsa e sull’evoluzione del dibattito - prima negli Stati Uniti e poi in Italia, costretta a confrontarsi con la sistemazione teorica e metodologica di Cesare Brandi - circa la necessità di elaborare modalità di approccio conservativo e restaurativo all’arte contemporanea in linea con le innovazioni messe in campo dagli artisti.
Il capitolo 2 cerca invece di analizzare tali innovazioni, sia nel campo della produzione artistica che nella pratica del restauro, attraverso l’esempio di alcuni interventi di restauro capitali. Si avverte la necessità di adottare nuovi approcci metodologici, che possano contemplare anche pratiche in apparente contrasto con alcuni assunti brandiani, come la sostituzione, la replica, il rimaneggiamento, la ri-costruzione (sulla base di schemi, progetti, fotografie). È lecito chiedersi, dunque, come cambia anche il concetto stesso di autenticità, se essa risieda nel messaggio, nell’intenzionalità artistica o nei materiali adoperati, e come il diritto possa tutelare l’artista e la sua creazione, quando l’intervento presuppone livelli di incisività così profondi.
Il capitolo 3 esplora più da vicino l’universo delle installazioni e la conseguente attivazione dello spettatore, anche attraverso un breve excursus cronologico a partire dal primo prototipo rappresentato dal Merzbau di Kurt Schwitters. Oggetto di indagine è, inoltre, l’evoluzione del concetto di site-specificity, che da sinonimo di “immobilità” subisce pian piano uno slittamento semantico per assecondare la richiesta di maggior mobilità e duttilità delle istituzioni museali e delle collezioni private.
Il capitolo 4 entra nel vivo della pratica conservativa e restaurativo delle installazioni, analizzando alcuni esempi di interventi, suddivisi in 3 macro-categorie: la ricostruzione ex novo, o rifacimento, messa in atto per opere andate distrutte e non più recuperabili ma la cui importanza è unanimemente riconosciuta; la sostituzione di una o più parti ammalorate di un’opera sostanzialmente ancora recuperabile e fruibile nella sua forma originaria; interventi, infine, che potremmo definire di mummificazione, tesi cioè a bloccare, con l’aggiunta di particolari sostanze chimiche fissanti, lo stato di degrado, risultando oltremodo invasivi ma al contempo estremamente salvifici. Ci sono, tuttavia, anche opere che non chiedono di essere salvate, che acquistano senso e ragion d’essere solo nell’auto-distruzione insita nel loro DNA. Opere siffatte possono essere tutelate solo attraverso una cospicua documentazione, oggetto del capitolo 5, pratica che cerca di adeguarsi, di perfezionarsi, anche mediante l’ausilio di video, fotografie, interviste agli artisti, e, al contempo, di ridefinire una figura sempre più centrale nel panorama artistico, ovvero quella del curatore/conservatore. |
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