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L’economia è una scienza sociale, una scienza che tenta di esprimere attraverso espressioni matematiche le interazioni fra i singoli individui. La storia, ma non solo, ci mostra in quanti modi essi si possono configurare, quanto dipendano dalle circostanze che il tempo gli impone e dalla cultura che fonda, permea e salda una comunità. Per questi motivi, non solo l’economia fin dall’inizio si è interessata dell’individuo in rapporto con l’altro, ma anche del ruolo etico e sociale connesso all’attività aziendale, o in altre parole, di come si configurasse all’interno dell’umanesimo, vuoi perché irriducibile da esso per la sua intelligibilità, vuoi come giustifica della scelta dei mezzi. Ecco come, all’interno di questo rapporto, agli inizi degli anni ’70 la famosa frase di Milton Friedman “[…] c’è una e solo una responsabilità sociale dell’impresa, usare le risorse e dedicarsi ad attività concepite per aumentare i propri profitti e, purché all’interno delle regole, l’impresa deve sempre competere liberamente, senza ricorrere all’inganno o alla frode […]” conobbe tanto successo, fondando la politica dell’economia contemporanea, ovvero grazie alla fusione dell’umanesimo liberista, “responsabilità sociale” e “libertà”, con la realtà storica del dopo guerra che viveva il suo boom economico. In quel contesto una certa fiducia permise il parallelismo suggerito fra i fini dell’economia e i fini dell’uomo, in altri termini, facendo coincidere i valori fondanti di una società con i valori economici. Oggi, l’economia non solo è cresciuta in modo esponenziale in tutto il mondo, ma è anche aumentata la determinazione che essa ha sulla dimensione etico-sociale e ambientale, acuendo la sensibilità di tutti gli attori economici in gioco (stakeholder) a valutare il profitto sì come componente necessaria, ma non esclusiva per il benessere della collettività e la valutazione dell’impresa. È in questo contesto mutato di intendere le interazioni economiche che nasce un nuovo modo di fare economia, più attento all’ambiente e al sociale, per il quale, come vedremo, sarà non solo come condizione necessaria per poter svolgere un’attività economica (vedi l’obbligatorietà del d.lgs. n. 254/2016), ma anche come innovazione strategica e quindi in grado di raggiungere un maggior profitto. In questa tesi, dopo aver spiegato il contesto normativo della dichiarazione non finanziaria (Capitolo 1), in cui si intravede il passaggio (ancora in atto, non definitivo, non irrevocabile), affronterò il cambio di paradigma economico illustrando il quadro normativo in materia di informazioni non finanziaria (capitolo 2) richiesto dalla legge nazionale (d.lgs. n. 254/2016), approfondendo una questione prodromica nel rispetto dell’applicazione dello stesso che ravvisa una certa ambiguità (Capitolo 3), mostrando di come essa affonda le proprie radici nella legislazione europea. Successivamente analizzerò in che modo il cambio di interazione fra gli individui ha portato ad un nuovo modo di fare innovazione strategica (Capitolo 4 e 5), presentando un sondaggio su un campione di 256 persone volto a confermare questa nuova opportunità. Infine, allargherò l’orizzonte della DNF dal solo rapporto impresa-stakeholders, al rapporto impresa-PA-stakeholders, mostrando come si nascondi un’opportunità e sia necessaria, per ragioni di efficacia ed efficienza, un ripensamento dei loro rapporti per il perseguimento della sostenibilità (Capitolo 6). |
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