Abstract:
Il presente elaborato intende proporre una lettura etnografica del culto afro-brasiliano dell’umbanda a Campinas (SP), articolata su due direttrici principali, interconnesse: una è l’interpretazione del rituale di possessione come una strategia per fronteggiare il fantasma del colonialismo, ricordando e rielaborando il passato attraverso il ritorno di spiriti archetipici; l’altra è quella che, sulla scia della riflessione di Ernesto De Martino, coglie la valenza terapeutica del culto nella sua capacità di nutrire il legame sociale, offrendo un orizzonte di senso condiviso, tramite il quale dare forma all’invisibile e alla minacciosa molteplicità del sé. Il mistero della possessione stringe tra il medium e le sue entità un’alleanza, tramite la quale l’individuo non è mai lasciato da solo nella continua conquista della propria presenza nel mondo, anche quando questa è minacciata dalla precarietà delle proprie condizioni socioeconomiche e dalla violenza strutturale del razzismo. La “modernità” di questo rituale testimonia allora la compresenza di diversi modelli interpretativi, in cui trova posto una peculiare relazione con l’invisibile. Il culto dell’umbanda, caratterizzato dall’accoglienza e dal sincretismo di elementi diversi, sembra dunque configurarsi come un’arma a doppio taglio che, da un lato, consente il mantenimento delle risorse magico-religiose derivanti dalla matrice africana, dall’altro, offre una particolare sintesi del Brasile, di cui narra la storia, costruendo significati nuovi e polisemici.