Abstract:
Il Made in Italy, un brand riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo, è diffuso in tutti i settori, dall’agroalimentare al metalmeccanico, fino ad arrivare al tessile. E’ un marchio che ha continuamente bisogno di definizioni e di tutele giuridiche sempre più severe, conseguentemente a tutti i fenomeni di cosiddetto “Italian Sounding” che aziende non italiane sfruttano per vendere di più.
A livello di quote di mercato, l’Italia è all’ottavo posto come volumi di esportazioni nella prima metà del 2018 (quota pari al 2,9% sull’export mondiale), facendo grandi passi avanti rispetto al 2015 in cui era solamente al decimo posto. Ai primi posti nella classifica dei Paesi verso i quali l’Italia esporta troviamo Germania (peso 12,8%), Francia (peso 10,7%) e Stati Uniti (peso 8,8%) con un valore complessivo di oltre 88.000 mln di Euro.
Al nono posto della classifica troviamo la Cina, che ricopre il 2,8% delle nostre esportazioni totali per un valore complessivo di 7.808 mln di Euro. C’è ancora un ampio margine di crescita nell’Estremo Oriente. In Cina il Made in Italy non è così conosciuto, da ciò che riporta un’indagine realizzata dall’Osservatorio Paesi Terzi di Business Strategies e condotta da Nomisma Wine Monitor: se si parla soprattutto di agroalimentare, solo il 10% dei consumatori pensa alla pasta quando si parla di Made in Italy.
L’economia della Cina, Paese con un governo controverso, è cresciuta moltissimo negli ultimi anni, grazie soprattutto al fatto che fino alla fine degli anni ‘70 avesse mantenuto chiuse le proprie frontiere a influenze esterne e specialmente occidentali. Dall’inizio degli anni ‘80 la Cina ha gradualmente aperto il proprio mercato a investimenti esteri, consentendo così anche l’ “entrata” di un’enorme quantità di know-how che ha contribuito a fare da carburante per le numerosissime start-up di successo. Al giorno d’oggi, con “Made in China 2025” e specialmente la “Belt and Road Initiative”, punta a semplificare enormemente gli scambi con Africa, Medio Oriente ed Europa.
Di pari passo con l’economia, è cresciuto anche il consumatore cinese e il modo in cui si rapporta al mercato dei beni di consumo: la classe media sta diventando sempre più grande, è composta da giovani tra i 20 e i 30 anni, e soprattutto compra prodotti e servizi su piattaforme e-commerce. Con più di 700 milioni di utenti attivi mensilmente sui social media e 300 milioni di consumatori che fanno shopping online, le imprese devono investire molto su strategie di digital marketing per raggiungere il consumatore finale. Con l’evoluzione del web marketing e più specificatamente del social media marketing, le modalità di vendita e comunicazione del proprio prodotto o servizio sono diventate molteplici. In Cina i social network sono un luogo in cui non solo si chatta e si scambiano le proprie opinioni, ma anche in cui si può fare shopping, prenotare un viaggio, pagare le tasse senza mai uscire dalla app (esempio lampante è il social network WeChat).
Nel caso delle aziende italiane, come si stanno comportando in termini di penetrazione del mercato cinese e in termini di volumi di vendite derivanti dai canali social? Come può una PMI italiana entrare in questo complesso meccanismo che è completamente diverso dal sistema dei social network occidentali? Come viene percepito realmente il Made in Italy agroalimentare in Cina?
Verrà quindi eseguito un case study su un’eventuale entrata nel mercato cinese da parte del Consorzio Olio Extravergine di Oliva Toscano IGP, creando un piano di marketing e di comunicazione che possa essere adatto per il mercato dell’Estremo Oriente, per poi infine capire se i consumatori possono essere pronti a recepire tale categoria di prodotto. Forse si dovrà parlare prima di sensibilizzazione del consumatore verso l’agroalimentare italiano in generale, e solo dopo concentrarsi sul singolo brand.