Abstract:
Gli Stati Uniti sono stati a lungo caratterizzati da una forte divisione razziale, secondo la quale i bianchi erano superiori ai non-bianchi. Per questo motivo, molti neri dalla pelle chiara hanno praticato il ‘passing’, fingendosi bianchi, e in alcuni casi ebrei. Il ‘passing’ per ebrei è interessante in quanto gli ebrei, sebbene siano ora considerati bianchi a tutti gli effetti, sono stati per molto tempo visti come una minoranza.
Nella letteratura, sia gli autori che i critici si sono in gran parte concentrati sul ‘passing’ da nero a bianco, tralasciando i gruppi razziali che avevano la pelle bianca ma che erano comunque considerati minoranze. Queste minoranze offrivano una via di mezzo tra le razze bianca e nera, dando nuove possibilità a chi aveva un’identità frammentata e usava il ‘passing’ non solo per sfuggire all’ineguaglianza, ma anche come mezzo per risolvere la propria frammentazione.
Questa tesi cerca di fare luce sull’importanza dell’identità nera ed ebrea nei romanzi contemporanei “Caucasia” di Danzy Senna e “La macchia umana” di Philip Roth. Partendo dalla teoria dello specchio di Jacques Lacan e dall’analisi di Daniel Itzkovitz degli ebrei come esseri camaleontici che esistono in uno spazio liminale al di fuori della razza, sostengo che il ‘passing’ per ebrei permette ai personaggi letterari di rimettere insieme i pezzi della propria identità, frammentata a causa della divergenza tra l’immagine che vedono allo specchio e con cui si identificano, e l’immagine che gli altri hanno di loro. Sostengo che diventare ebreo significhi trovare una via di mezzo che dà a chi pratica il ‘passing’ un’identità completa.