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Simbolo del “mondo fluttuante” (ukiyo),Yoshiwara è il quartiere dei piaceri di Tōkyō e il più celebrato dall’arte e la letteratura del periodo Tokugawa. Si trattava di un luogo ricco, voluttuoso e estremamente importante, nato dalla volontà dello shogunato di tenere i chōnin “impegnati” e lontani dalla vita politica. Un luogo che si trasforma in un fiorente business, che dura ben tre secoli e sopravvive a due grossi incendi (quello di Meireki del 1657, che fu uno dei motivi che ne determina il ricollocamento dall’attuale Nihonbashi alla zona settentrionale di Asakusa e quello del 1913, che lo danneggiò in buona parte) per essere poi pressoché raso al suolo dal grande terremoto del Kanto del 1923. Continuò le proprie attività fino al 1956, quando venne chiuso per la legge sulla prostituzione, che vietava per l’appunto le attività dei quartieri di piacere.
Quartieri di piacere in cui la prostituzione, a differenza delle società cristiane che la percepivano come peccato, diventava di fatto arte. Tendenzialmente, restava sordida necessità economica per entrambe le tradizioni. Sicuramente non vi è stato in Europa luogo sfavillante quanto Yoshiwara, dove le cortigiane aspiravano al modello delle eleganti dame del Genji monogatari, esempio assoluto e indiscusso delle dinamiche di corte di ogni genere.
Erano intrattenitrici, artiste e se non erano anche brave poetesse, cantanti e ballerine si collocavano nei gradini più bassi, ammettendo che vi rientrassero, di questa rigidissima e quasi aristocratica gerarchia. Un mondo estremamente articolato, dove vi erano regole ferree da seguire per chi vi lavorava e dove era “buon costume” comportarsi e presentarsi in un certo modo per chi lo frequentava. Nulla era lasciato al caso e i controlli erano severi. Per chi ormai apparteneva a Yoshiwara la libertà era un miraggio, reso visibile solo da chi vi entrava e usciva per proprio diletto.
A portare anche a noi un assaggio di quella che era la vivacità del mondo di cui stiamo parlando, sono sicuramente gli sharebon 洒落本, i “libri alla moda”, “arguti, piccanti”, ambientati per l’appunto nei quartieri di piacere. Il modello, nell’ambito di questo genere, è Yūshi hōgen 遊子方言, risalente al 1770 e che qui riportiamo in traduzione, iniziatore di una serie di testi che vedranno il ricorrere di personaggi ben delineati: ad esempio non manca lo tsūjin 通人, ovvero l’uomo di mondo, l’intenditore della vita nei quartieri di piacere o il musuko 息子, ovvero il giovane ignaro delle dinamiche di questi luoghi ma abile nell’apprendere. Sarà proprio questo il testo che prenderemo in esame e che ci mostrerà in modo chiaro ed evidente come a Yoshiwara non fosse sufficiente scegliere quale cortigiana “comprare”, ma come fosse necessario essere graditi dalle stesse: non a caso l’uomo di questo racconto, pur cercando di mettere in mostra la propria conoscenza in merito al modo di presentarsi a Yoshiwara e le proprie avventure amorose, finisce per essere ridicolizzato dalle signorine della casa da tè: il giovane inesperto al quale voleva insegnare le proprie tecniche, riceverà invece un trattamento decisamente migliore. Questo è dunque esempio lampante della peculiarità del luogo e della necessità di rispettare certi canoni che non si limitava solo alle prostitute, come siamo soliti pensare dal nostro punto di vista “occidentale”.
Questo lavoro ha dunque l’obiettivo, attraverso la traduzione integrale del testo sopra menzionato e della sua analisi, di ricostruire nella mente del lettore un luogo che è ormai materialmente scomparso, di fornire le basi per una riflessione sulla prostituzione così come era concepita nel Giappone dell’epoca e al di fuori di questo paese e, perché no, di gettare le fondamenta per una più ampia analisi etico-morale sul “lavoro più antico del mondo”. |
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