Abstract:
L’aumento dell’afflusso di cittadini di paesi terzi, dal 2011 in Europa, ha portato l’Unione ad elaborare un sistema comune di asilo, per far fronte al crescente numero di domande di protezione internazionale che venivano presentate negli stati membri. I sistemi elaborati sono risultati onerosi per gli stati al confine dell’unione, come la Grecia e l’Italia. Quest’ultima da quegli anni costruisce, sotto direttive e regolamenti europei, il sistema interno di accoglienza per richiedenti asilo. All’interno di questo ambito nasce una nuova figura lavorativa di operatore sociale, volto a lavorare in contesti interculturali e nei diversi tipi di centri di accoglienza. Tale contesto nazionale viene a modificarsi nel 2017, dopo l‘emanazione di un decreto, che va a modificare alcuni aspetti lavorativi nel settore, l’iter procedurale di esame della domanda di protezione e altre clausole procedurali, giuridiche riguardanti la normativa sull’asilo politico. Il decreto, in linea con il quadro politico già esistente, si è presentato come il pretesto per proteste e mobilitazioni da parte dei lavoratori dell’accoglienza che già si trovano a lavorare all’interno di un fenomeno che è gestito da sempre sotto una logica di emergenzialità.
Le mobilitazioni degli operatori sociali nate in risposta al decreto risultano particolarmente interessanti perché sono state motore per successive creazioni di altri gruppi autoconvocati e autogestiti di operatori che si incontrano per autoformarsi, discutere il proprio ruolo e analizzare le conseguenze a livello territoriale della nuova normativa. Risulta interessante indagare, all’interno del vigente contesto normativo, come vive l’operatore il dilemma tra sostegno e controllo tipico del lavoro sociale. Inoltre, sembra interessante indagare se e come, all’interno di questi spazi di confronto, venga a delinearsi una costruzione identitaria dei lavoratori dell’accoglienza.