Abstract:
Non si può non comunicare, non esiste un comportamento che non sia comunicativo.” È il primo degli assiomi della comunicazione messi sotto definizione da Paul Watzlawick nel testo “Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi” del 1971 ispirato dalla scuola di Palo Alto. Tra i vari tipi di sistemi comunicativi si sceglie da mettere sotto tesi, quello silente basato su sguardi e gesti. Il soggetto del presente lavoro è la lingua dei segni e in particolare un progetto iniziato più di dieci anni nei paesi arabofoni. L’intento è quello di unificare per rendere standard il sistema linguistico usato dai sordi che vivono in tutti quei paesi che riconoscono a livello costituzionale l’arabo come lingua ufficiale. Può sorgere un interrogativo abbastanza comune tra gli udenti in merito all'esistenza o meno di una lingua universale e comune a tutti i sordi senza distinzione di cultura o altro. La risposta è negativa seppur positivo è il fatto che ogni lingua dei segni è in parte ispirata dalla rispettiva lingua parlata di un determinato paese. Ad esempio;il nome Treviso in lingua dei segni si indica portando le tre dita all'altezza del volto e facendo girare la mano in senso orario giocando e dividendo il nome in “tre” e “viso”. Una definizione più precisa e completa è presa in prestito da Virginia Volterra alla quale spetta il primato della definizione “lingua dei segni” nel 1987. Di seguito:
“Abbiamo scelto di usare il termine lingua dei segni proprio per sottolineare che si tratta di una lingua a tutti gli effetti e per differenziarci da un tipo di tradizione che non ha mai voluto riconoscere a questa forma di comunicazione lo stesso status della lingua vocale. Se intendiamo con il termine lingua un sistema di simboli relativamente arbitrario e di regole grammaticali che mutano nel tempo e che i membri di una comunità condividono e usano per scopi diversi per interagire gli uni con gli altri,[…] per trasmettere la loro cultura di generazione in generazione, non c’è dubbio che la comunicazione usata dai sordi è una lingua” (Volterra, 1987, pp. 12-13).