Abstract:
Nell’anno 1584 il Consiglio dei Dieci si trovò a dover giudicare uno dei più eminenti patrizi veneziani nonché capo della fazione conservatrice Giacomo Soranzo, accusato di propalare i segreti di Stato appresi nei Consigli di cui aveva fatto e faceva parte. Per ottenere il titolo di Cardinale sfruttò la propria posizione raccogliendo informazioni riservate che poi inviava al Granducato tramite l’agente di Toscana Ottavio Abbioso. Suoi complici nell’affaire, che durò ben sette anni, furono il fratello Giovanni e Livio Cellini, personaggio enigmatico: uomo del Papa, segretario di Soranzo, scrittore di avvisi noto in tutta Venezia. Per una ricostruzione quanto più completa della vicenda, di cui rimangono poche e frammentarie carte nell’Archivio di Stato, è necessario avvalersi di narrazioni collaterali di diversa natura, che vanno dalle corrispondenze dei rappresentanti esteri presenti in città alle cronache del tempo, dalle composizioni satiriche indirizzate ai magistrati agli avvisi pervenuti alle Corti straniere. Il leitmotiv della narrazione è il tema della segretezza, imprescindibile e tuttavia illusoria, anzi plasmabile a proprio favore. Partendo dall’analisi dell’iter processuale, che presenta tratti peculiari caratteristici del rito inquisitorio del Consiglio dei Dieci, la visione si apre al contesto che fa da cornice al caso. Non si può prescindere dal considerare il clima teso tra la fazione conservatrice e quella anticuriale, che si rispecchia anche nella composizione del Consiglio, e il moto di ribellione che seguì alla condanna ne fu un esempio. Il processo offre infine l’occasione di conoscere una figura emergente, quella dello scrittore di avvisi, indispensabile eppure minaccioso frequentatore di Corte che raccoglie informazioni da inviare alle Potenze straniere, sfruttato dai suoi nobili clienti e poi, all’occorrenza, categoricamente rinnegato. In conclusione, la ricostruzione del processo a Giacomo Soranzo porta con sé la visione autentica di una Venezia narrata dai contemporanei.