Abstract:
Le rassegne internazionali d’arte contemporanea hanno conosciuto negli ultimi decenni uno sviluppo senza precedenti, proliferando anche in quelle aree periferiche che fino a poco tempo fa non erano considerate nel panorama artistico globale. Questo processo, chiamato Biennial Boom, prende il nome dalla prima in assoluto e modello per eccellenza: la Biennale di Venezia del 1985. Ma cosa succede fra la nascita di quest’ultima e il momento in cui il formato diviene un successo globale?
A cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta si assiste ad una crisi profonda che costringe al cambiamento di rotta definitivo attraverso profonde modificazioni nell’assetto delle mostre internazionali.
L’elaborato si propone dunque di analizzare le esposizioni più importanti del periodo per vedere in che modo gli elementi innovativi ne sconvolgono la struttura permettendone la rinascita: l’imporsi della figura del curatore indipendente e, di conseguenza, l’adozione del tema unico come criterio di esposizione dell’arte. Iniziando da Documenta 5 con l’edizione del 1972 e dal ruolo preponderante di Harald Szeemann al suo interno, si passa poi al contesto italiano con la riforma di Vittorio Gregotti come reazione alla contestazione sessantottina, che risulterà nella XXXVII Biennale di Venezia del 1976. Si ricerca in seguito conferma delle novità apportate attraverso lo studio di Documenta 6 del 1977 e della XXXVIII Biennale del 1978, per poi espandersi nella dimensione extra-europea con le due esposizioni che più di tutte si ispirano ai modelli di Venezia e Kassel: la Biennale di San Paolo e quella di Sydney, le cui edizioni coincidono nel 1979.