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Nella nostra epoca, iperconnessa e ipercomunicante, si avverte in modo sempre più opprimente il bisogno di “agire”. L’azione – celebrata nei contesti più disparati come soluzione ai problemi politici, sociali, familiari, personali, educativi, economici, ecc. – sembra essere al centro dell’attenzione: a essa sono vincolate la vita umana e la sua realizzazione. Eppure, nonostante tutta l’attenzione riservatale, il significato profondo di cosa significhi agire rimane ancora ingenuo, affrettato, confuso.
Questa ricerca rileva e analizza il problema dell’azione – un problema mai tanto sottovalutato e ambiguo – utilizzando come chiave di lettura la filosofia di Kierkegaard.
Nella prima parte sono affrontate quelle condizioni teoretiche che permettono il sussistere di un’azione: l’individuazione del soggetto come esistente (indipendente dal contesto) e come rapporto tra pensiero e realtà. Le successive considerazioni prendono in esame la differenza tra esistente oggettivo e soggettivo, e l’eterogeneità tra verità oggettiva e soggettiva. Infine, la prima parte si conclude con una proposta di antropologia esistenziale (l’uomo come sintesi a partire dalla determinazione dogmatica di peccato come scarto tra ideale e reale soggettivo), con una teoria soggettiva del divenire (unica, secondo Kierkegaard, capace di preservare la libertà di azione di un ipotetico soggetto esistente) e, in ultima istanza, con l’importanza metodologica della comunicazione indiretta (intesa come unico tentativo possibile di espressione della dimensione pragmatica dell’esistenza).
La seconda parte è dedicata alla contestualizzazione delle tematiche esistenziali attraverso le loro determinazioni soggettive: sono affrontati concetti come la libertà (divenire che si fa soggettività), la realtà etica (unica dimensione soggettiva interamente determinata dall’esistente) e le loro manifestazioni soggettive sotto forma di angoscia (libertà soggettiva in rapporto al futuro) e disperazione (libertà soggettiva in rapporto al passato). Infine, l’unico esito positivo di queste manifestazioni (in se stesse né positive né negative) come rassegnazione infinita (azione sensu eminentiori dell’esistente).
Nella terza parte le tematiche precedenti vengono riprese e contestualizzate come forme determinate che prendono il nome di stadi esistenziali (estetico, etico, religioso). Gli stadi rappresentano, a titolo esemplificativo, concreti tentativi umani di dare unità alla propria esistenza: l’azione estetica non apporta alcun divenire e si costituisce come preferenza, distrazione; l’azione etica riesce invece, attraverso la ripresa, ad avviare un autentico cambiamento esistenziale, seppur ancora ristretto; l’azione religiosa, infine, si caratterizza come scelta radicale in rapporto all’assoluto che, capace di sconfiggere qualunque sofferenza, diventa inarrestabile azione qualitativa. |
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