Donne al confino 1926-1943

DSpace/Manakin Repository

Show simple item record

dc.contributor.advisor Bianchi, Bruna it_IT
dc.contributor.author Molin, Tommaso <1986> it_IT
dc.date.accessioned 2017-10-09 it_IT
dc.date.accessioned 2017-12-05T09:29:33Z
dc.date.issued 2017-10-30 it_IT
dc.identifier.uri http://hdl.handle.net/10579/10825
dc.description.abstract La deportazione di persone condannate per gravi reati, ma spesso anche solo sgradite al potere, è una pratica molto antica nella storia d’Italia. Dopo l’Unità, questa misura venne utilizzata quale provvedimento di polizia verso tutte quelle persone ritenute pericolose e sovversive per l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato. Ma fu durante l'età fascista che avvenne la trasformazione del domicilio coatto in vero e proprio confino di polizia inteso come strumento di repressione del dissenso da parte del regime. Storicamente discriminate, durante il Ventennio le donne subirono un ulteriore aggravio delle proprie condizioni di vita. La donna fascista doveva incarnare l’angelo del focolare dedita alla cura di marito e figli, relegata all’ambito domestico e senza il minimo interesse per la sfera pubblica di pertinenza esclusivamente maschile. Per coloro le quali tentassero di infrangere lo stereotipo di regime oltre all’evidente stigma sociale sarebbe seguita la condanna solitamente al manicomio o al confino. Anche se bollate come antifasciste, la maggior parte delle donne confinate era costituita da semplici casalinghe senza alcuna velleità politica che, in un momento di frustrazione, si erano magari lasciate sfuggire dei commenti impropri sul Duce o sulle istituzioni in generale. Tra le diverse categorie di confinate vi erano: le militanti politiche, in particolare le comuniste come Camilla Ravera e Cesira Fiori, che, sfidando le convenzioni sociali imperanti anche all’interno del loro stesso partito, scelsero l’impegno attivo come strumento di lotta al regime, perfettamente consapevoli di ciò a cui andavano incontro; le testimoni di Geova in quanto rappresentanti di un culto difforme dal cattolicesimo di Stato; le zingare, che erano accusate di essere oziose e dedite all’accattonaggio; le prostitute, in quanto emblema di una sessualità sfrenata in totale contrasto con il modello femminile casto a fini unicamente procreativi imposto dalla dittatura; le levatrici, con l’accusa di procurato aborto e diffusione di metodi contraccettivi, crimini imperdonabili agli occhi del regime, fautore di instancabili campagne di propaganda a favore dell’incremento demografico con conseguenti incentivi per le famiglie numerose. it_IT
dc.language.iso it it_IT
dc.publisher Università Ca' Foscari Venezia it_IT
dc.rights © Tommaso Molin, 2017 it_IT
dc.title Donne al confino 1926-1943 it_IT
dc.title.alternative Donne al confino 1926-1943 it_IT
dc.type Master's Degree Thesis it_IT
dc.degree.name Storia dal medioevo all'età contemporanea it_IT
dc.degree.level Laurea magistrale it_IT
dc.degree.grantor Dipartimento di Studi Umanistici it_IT
dc.description.academicyear 2016/2017, sessione autunnale it_IT
dc.rights.accessrights closedAccess it_IT
dc.thesis.matricno 808253 it_IT
dc.subject.miur M-STO/04 STORIA CONTEMPORANEA it_IT
dc.description.note it_IT
dc.degree.discipline it_IT
dc.contributor.co-advisor it_IT
dc.date.embargoend 10000-01-01
dc.provenance.upload Tommaso Molin (808253@stud.unive.it), 2017-10-09 it_IT
dc.provenance.plagiarycheck Bruna Bianchi (bbianchi@unive.it), 2017-10-23 it_IT


Files in this item

This item appears in the following Collection(s)

Show simple item record