Abstract:
Storicamente, il Giappone è stato un paese molto chiuso che per centinaia d’anni ha fatto della supposta “purezza” della propria “razza” un punto di orgoglio e forza. Tuttavia, ora il paese si trova ad affrontare problemi quali il veloce invecchiamento della popolazione, la carenza delle nascite e una progressiva diminuzione di forza lavoro da impiegare in mansioni poco qualificate. Recentemente dunque il Giappone si è dovuto ricredere: la politica di chiusura e controllo è stata allentata e si è aperto il dibattito sulla revisione della legge sull’immigrazione, da sempre molto rigida.
In tale frangente, l’azione dei media gioca un ruolo fondamentale nel direzionare l’opinione pubblica. Il modo in cui un soggetto (nel caso di questo scritto, lo straniero) viene dipinto dai mezzi di comunicazione diventa prima o poi il modo di vederlo e interpretarlo della maggior parte della popolazione. Il cinema in questo senso gioca un ruolo fondamentale, in particolare modo grazie alla natura diretta. Non tutti possono leggere un giornale o un libro e men che meno tutti possono capire un’opera d’arte ma un film è un prodotto fruibile da un larghissimo pubblico, che vi leggerà un messaggio diverso a seconda del grado di erudizione e di risorse simboliche a propria disposizione.
Nel decidere a quale minoranza etnica presente in Giappone fare riferimento ho scelto di concentrarmi in modo particolare sui Coreani, immigrati nel corso della storia, attualmente residenti o nati e cresciuti in Giappone. Essi hanno storicamente rappresentato il più nutrito e discriminato sottogruppo etnico presente sul suolo giapponese. Lunghissima è la storia dei contatti tra i due paesi ma gli inizi del ‘900 segnano l’inizio delle asperità che in misura minore durano tutt’ora.
Come si è posto il cinema giapponese nei loro confronti nel corso della storia? Come dipinge coloro che più di tutti sono stati “stranieri in Giappone”? Si adagia nello stereotipo diffuso e accettato dalla società, si pone in linea con il periodo storico in cui la pellicola viene prodotta, oppure cerca di contrastare e contraddire l’immagine comune?
Nel primo capitolo cercherò di inquadrare il contesto storico in cui si sono concretizzati i rapporti tra Giappone e Corea a partire dall’annessione di quest’ultima come colonia dell’Impero giapponese nel 1910. Il secondo capitolo tratterà invece si concentrerà sulla produzione cinematografica degli anni a cavallo tra le due guerre, con particolare attenzione al cinema di propaganda. Il terzo capitolo si concentrerà sul cinema giapponese dal dopoguerra fino agli anni ’80. Il fulcro principale dell’analisi sarà quello della capacità del cinema di creare una “comunità immaginata”. Verrà analizzata la produzione del regista Ōshima Nagisa. Il quarto capIl quarto capitolo tratterà gli anni ’90 e 2000, con la cosiddetta “Korean Wave”. I prodotti di intrattenimento Sudcoreani hanno un enorme successo in tutta l’Asia e il successo inizia a cambiare l’immagine del paese agli occhi dei suoi vicini. Verranno analizzati la serie tv “Winter sonata” e film come “Tsuki wa docchi ni deteiru” (1993), “Pacchigi!”, “Chi to hone” (2004). Il quinto capitolo, più breve, trarrà le conclusioni facendo riferimento anche agli anni più recenti, con il triste propagarsi degli “hate speech” contro gli Zainichi da parte di alcune associazioni ultra-nazionaliste e mostrerà i risultati di un sondaggio da me condotto presso l’università di Tsukuba di Ibaraki.